Leonardo

Fascicolo 10


in "Alleati e nemici"
Pregiudizi sulla Storia
di Gian Falco (Giovanni Papini)
p. 14


p. 14


   C'è stato un tempo in cui s'è voluto fare della storia una scienza a tutti i costi e poichè sembrava che i caratteri più scientifici fossero la scoperta delle leggi e l'obiettività, si voleva che gli storici e i sociologi trovassero delle successioni costanti e si mantenessero, parlando di cose umane, in una disumana imparzialità. Oggi codesto culto delle scienze fisiche comincia a scemare e ci s'accorge che le leggi-tipo non sono come i ferventi storici se l'immaginavano, e che l'inazione sentimentale non è nè possibile nè desiderabile. Ed è significativo che al Congresso delle Scienze Storiche, tenuto in Roma questa primavera, due filosofi giovini, venuti l'uno dalla matematica e l'altro dalle lettere, abbiano affermato questo rivolgimento di vedute in fatto di storia.
   Il primo, GIOVANNI VAILATI, in una comunicazione Sull’applicazione dei concetti di causa e di effetto nelle scienze storiche (in Rivista italiana di Sociologia, a. VII, fasc. III, maggio-giugno 1903, pp. 241-47) ha mostrato quanto superficiale sia l'idea che si fanno delle leggi scientifiche gli storici, e ha fatto vedere, con esempi chiari, come queste non abbiano in realtà quei caratteri di regolarità, di necessità ecc. che vengon loro attribuiti, e mostra i curiosi effetti di quella credenza nelle questioni del determinismo e del materialismo storico. E tocca, verso la fine, della questione dell'imparzialità dello storico, e trova che c'è una parzialità legittima oltre che una illegittima (quella derivante da nostre passioni e interessi). E a proposito della prima, ch'è quella per cui consideriamo soprattutto certi fatti, che c'interessano o che vogliamo modificare, come uniche cause, egli scrive: «Da questo punto di vista, il sentir parlare, per esempio, d'un volume di storia socialista, in contrasto a un altro, per esempio, di storia conservatrice, non dovrebbe sembrare più strano che il sentir parlare di un manuale di chimica per i tintori affatto diverso da un trattato di chimica per i farmacisti o per gli agronomi» (p. 247). Soltanto si potrebbe chiedere: come si farà a limitare la parzialità ammessa? Per scegliere certi fatti, piuttosto che certi altri, come cause, non siamo guidati dal sentimento? Francamente, mi sembra che il Vailati si fermi a mezza strada e non abbia coraggio di seguire il suo pensiero fino in fondo. Limitare la propria attenzione è fare una scelta, cioè una valutazione, e in questa un sentimento entra sempre, e non può essere che sentimento personale. Io credo che non si possa fare che storia parziale, storiasoggettiva.
   Lo stesso problema agita BENEDETTO CROCE in una comunicazione presentata pure a Roma, (L’attitude subjective et l’attitude objective dans la composition historique. Paris, L. Cerf, 1903) nella quale egli afferma la necessità del subiettivismo storico. Soltanto anche il CROCE, come il VAILATI, rifugge dal subiettivismo sentimentale e intende che la storia dev'esser soggettiva nel senso «qu'elle ne peut se passer d'un critére idèal» (p. 5).
   E le stesse cose dico a lui: se un criterio è valutazione, come si può valutare facendo a meno del sentimento? Il CROCE sceglie come esempio l'opera di Bismarck e si chiede giustamente se possiamo farne la storia «sans envisager, au delà des conditions de fait du monde politique et des incidents journaliers, l'idéal social auquel on devait tendre, et sans juger l'oeuvre de Bismarck» (p. 3). Ma la scelta dell'ideale sociale dello storico non è determinata dai sentimenti e dagli interessi suoi personali? E come potrà giudicare di cose pratiche se non secondo ideali pratici, cioè vitali e sentimentali, e perciò eminentemente individuali? Veramente io non so distinguere tra soggettivismo buono e cattivo: mi sembra che non si può fare che del soggettivismo, e non solo razionale ma sempre e necessariamente sentimentale.


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